ENZO PELLI - PLOETZLICHER SCHATTEN

Zurigo, Limmat Verlag, 2022

 

(Nicola Bardola, Lyrik - Revue)

Der Mensch in der Natur taucht oft auf in Pellis Lyrik: Langgedichte über Wanderungen durch das Gebirge, über die Anziehungskraft der Tier- und Pflanzenwelt. Pelli ist auf der Suche nach dem Einklang der Gefühle, wenn er alleine beobachtet. Manchmal verstärken Begegnungen in der Einsamkeit den lyrischen Effekt, so beim Langlaufen: „Der Atem ist eine einzige leichte Musik, / die vom Rhythmus der Schritte skandiert wird. / Ich folge mit dem Auge den Profilen der Gipfel, / der Abhänge.“ Plötzlich aber überholt ihn ein Sportler, der all das nicht sieht, nicht sehen kann. Es geht bei Pelli um Rhythmus, um Harmonie. Ein Jogger bei Ponte Tresa läuft und beobachtet durch das Geäst die Lichtkontraste der Morgensonne über den Bergen. Er muss Atem schöpfen: Bei hohem Puls wäre es besser, kürzer zu treten, aber er läuft weiter. „Bald endet der Waldweg.“

 

Im Italienischen verstärkt sich der Klang des Beschriebenen: „Siedo da solo nell’ombra del bosco / la natura mi avvolge è così vicina / ma invisibili fischiano intorno / uccelli sconosciuti e di queste / piante mosse da un vento leggero / il nome mi è ignoto.“ Pelli sitzt alleine im Schatten des Waldes. Die Natur, die ihn umgibt ist so nah, aber unsichtbar pfeifen Vögel, deren Namen er nicht kennt, bewegen sich namenlose Pflanzen im Wind. Pelli zeigt sich von seiner witzigen Seite: Einen Benziner in der Ferne kann er in dieser Situation von einem Dieselmotor unterscheiden. Pellis vielleicht eindrücklichsten Gedichte handeln von seinen Eltern. Dabei kreist Pelli oft um Sterben und Tod ...

 

 

 

 

L'uomo nella natura compare spesso nella poesia di Pelli: lunghe poesie ispirate da passeggiate in montagna, dall'attrazione del mondo animale e vegetale. Osservatore solitario Pelli è alla ricerca dell'armonia dei sentimenti. A volte gli incontri nella solitudine rafforzano l'effetto lirico, come quando pratica lo sci di fondo: "Il respiro è una musica lieve, / scandita dal ritmo del passo. / Inseguo con gli occhi il profilo di creste/ e pendii”. Ad un tratto, però, lo sorpassa un atleta che non vede tutto questo, non può vederlo. Pelli parla di ritmo, di armonia. Nei pressi di Ponte Tresa corre e guarda attraverso i rami i contrasti di luce del sole mattutino sulle montagne. Ha bisogno di riprendere fiato: se ha il polso alto, sarebbe meglio rallentare, ma continua a correre. "Tra poco il sentiero finisce."

 

In italiano il suono di quanto descritto è amplificato: “Siedo da solo nell'ombra del bosco / la natura mi avvolge è così vicina / ma invisibili fischiano intorno / uccelli sconosciuti e di queste piante / il nome mi è ignoto.” Pelli siede da solo all'ombra nel bosco. La natura intorno è vicina, ma invisibile, fischiano uccelli di cui non conosce i nomi, piante senza nome si muovono nel vento. Pelli mostra un suo lato umoristico: in questa situazione, riesce a distinguere in lontananza un motore a benzina da un motore diesel.

 

 

 

Le poesie forse più impressionanti di Pelli riguardano i suoi genitori. Pelli si attarda spesso attorno al morire e alla morte:

 

 

 

Attraverso la porta

 

vedo mia madre assopita sul divano

 

una matita in mano

 

sui ginocchi la coperta e il cruciverba

 

abbandonato. Con gli occhi chiusi,

 

nel suono esagerato del televisore

 

inutilmente acceso, pare già partita

 

per il grande viaggio. Il cuore

 

mi accelera nel petto –

 

ma lei solleva il capo, scuote

 

i capelli così bianchi e con affetto

 

mi guarda. Così ogni giorno

 

per qualche lungo istante

 

mia madre sperimenta il vuoto

 

che la attende.

 

 

 

Anche qui Pelli combatte la gravità dei problemi con un approccio 
pragmatico: tra dieci anni, se è ancora vivo, raggiungerà l'età del
padre quando la malattia lo ha portato via. A vent'anni, quello
della madre, che da anni soffriva di problemi cardiaci prima di morire.
“Puoi capire / davanti a queste prospettive / che ogni spreco di tempo
/ mi faccia innervosire.” Quando Pelli legge che è morto qualcuno
nato nel 1948, controlla se hanno avuto un ruolo gli oncologi
o i cardiologi. Pelli contrappone gli ultimi viaggi a quelli
quotidiani. Riflette sulla propria esistenza in movimento: una
stanza d'albergo come un acquario, e al suo interno se stesso
come un pesce. Pelli sogna stazioni ferroviarie straniere,
valigie smarrite e treni in partenza. Viaggiatori che non conosce
lo invitano a salire, ma non ha biglietto né documenti. Deve
andare a cercarli e poi tornare indietro. Quando è finalmente pronto
per viaggiare, i binari sono vuoti. Avrebbe dovuto salire subito.
Con questo il sogno finisce.
Pelli è preoccupato per le occasioni mancate e la vita fugace: 
“Si chiamava Moammed Sceab, / morì a Parigi suicida. Scrisse /
di lui Ungaretti ‘Io solo / so ancora che visse’: / sarà ricordato /
per sempre".

 

E in queste commemorazioni, Pelli ricorda anche parenti e amici, e sua madre - che incollava le fotografie nell'album, annotando con pazienza e devozione nomi e date «per vincere la sorte / per restare con noi / anche dopo la morte».

 

Offre conforto con i suoi testi. Raccoglie i destini, dà loro permanenza, guarda una donna: da quanta parte / della sua vita sono escluso / altri uomini no. / Ma più tardi mi disse / Scrivi / una riga per me / una sola / riga per me.

 

 

 

Enzo Pelli

IL TEMPO BREVE

Poesie

Lugano, alla Chiara Fonte, 2022

 

 

 

 

Enzo Pelli

UNA MUSICA LIEVE.

Prefazione di Vincenzo Guarracino.

Book Editore, 2018

 

Breve addio

Foschia senz’ombra

senza tempo

immobile scorrere d’acqua

il sole una moneta d’argento.

Amore non lasciarmi

diceva allontanandosi

io non mi sono mosso

ero già in qualche altro posto.

Ricordo ancora

la portiera il motore

le gomme sulla ghiaia

e poi nessun rumore.

 

Laghi altopiani

Davanti agli occhi

picchi lontani

laghi altopiani

voli di corvi

nuvole vento.

Faticoso solitario

turbamento.

 

Nell’ombra del bosco

Siedo da solo nell’ombra del bosco

la natura mi avvolge è così vicina

ma invisibili fischiano intorno

uccelli sconosciuti e di queste

piante mosse da un vento leggero

il nome mi è ignoto. Senza fatica

distinguo invece il lontano rumore

di un diesel o di un motore

a benzina.

 

Sull’autopostale

Sull’autopostale a San Grato

salgono ogni i giorno i ragazzi

della scuola speciale

quelli messi non troppo male

che a casa da soli sanno tornare.

Parlano e ridono forte tra loro

con una felicità che non so

immaginare.

 

Midnight bar 1

Manca poco alla fine di questo

viaggio, ancora tre sere

seduto qui con davanti un bicchiere

o chiuso nella stanza a chiedermi

se la solitudine non sia

diventata una mia

condizione permanente.

Il barman è sorridente,

troppo giovane troppo

esotico per capire, chissà

dove dorme quando lascia

l’albergo cinque stelle, cosa fa

delle sue scarse ore di libertà.

Certo non spreca i soldi

faticati in lunghe giornate,

li manda per moneytransfer

a casa in Bangladesh;

intanto per due gin tonics

gli pago twenty-five $

senza batter ciglio.

 

 

 

 


 

Enzo Pelli

MOMENTI IRRIPETUTI

Lugano, alla chiara fonte, 2014

 

MOMENTI IRRIPETUTI

 

Dopo il temporale

Scheggia di crolli remoti

la grande roccia rispecchia frammenti

di sole, come finestre lucenti.

Ha steso molli vapori la pioggia

sui boschi e un silenzio nuovo s’installa,

scalfito da vaghi rumori:

l’ultimo tuono, motori,

un fischio una lontana

voce umana.

 

Sentiero, sassi

Sentiero, sassi

rumore di passi.

Aspetta: fischi          

tra le frane, muschi.

Respiro, vento

tempo.

 

Lago

Specchio identico

appena turbato da un filo di vento.

Rovesciato, appena più opaco

il senso del tempo.

 

Attesa

Nubi nere

ferme sull’orizzonte.

Altrove

già piove.

 

Campagna

Omaggio a Guillaume Apollinaire

Scorre il riale. Passa                                                  Des feuilles qu’on foule

gialla un’autopostale.                                                Un train qui roule

Tutto ritorna uguale.                                                 La vie s’écoule.  

 

Scavatrice gialla

La scavatrice gialla a colpi di dente

solleva sassi e terra senza sforzo

senza rimorso. Stasera dell’orto

non resterà niente.

 

Treno di notte

Treno di notte lontano rumore

lume leggero nel buio, giallo miraggio

di sonnolento tepore.

Chi aspetterà il passeggero

alla fine del viaggio?

Qualcuno fuori ascolta forse guarda

il treno che passa nel buio, forse ricorda

momenti irripetuti, cose perse,

terre lontane diverse.

Treno di notte, binario, fragore,

chiarore opaco torpore precario.

Dormono i viaggiatori: quelli attesi,

e quelli che si sono arresi. 

 

Disegnano draghi le stelle

Disegnano draghi le stelle,

centauri serpenti; ad oriente

sopra il filo dei monti la cometa

gelida messaggera di sfortuna

mi osserva immobile nel cielo nero

nella notte senza luna.

Solo il frusciare di un’onda mi avverte

che sotto i piedi questo specchio oscuro

non è caos primordiale vuoto siderale

ma il liquido abisso del mare.

Giunto all’estremità del pontile

mi chiedo se muovere

ancora un passo.                  

 

 

PERSONE VICINE E LONTANE

 

Per l’amico di un tempo

Ritrovi nel grande niente

i frammenti di te fuggiti

le frasi i pensieri smarriti

prima del tempo.

Finalmente in pace

tra gli astri dove tutto tace.

 

Lontano dal Sahara

Si chiama, credo, shèsh

l’azzurro turbante

che portavi laggiù ad Agadès.

Ma qui non sei più

con la negra testa scoperta

quel superbo tuareg figlio di capotribù.

Per la strada                                    

la gente ti squadra e lo sguardo   

distoglierebbe la turista bionda  

così innamorata di te

ad Agadès.

 

Il negoziante e la suonatrice

Lui si domanda perché senza grazia ti metti

proprio davanti al negozio ogni santo

giorno dell’anno e maltratti il charango.

Lì in piedi

anche tu te lo chiedi

e pensi ogni tanto alle Ande.

 

Sulla riva

Seduta nel sole non parla

con le altre vecchie sole.

Non getta in acqua croste secche,

non vuole tumulti di pesci,

gridi d’uccelli colpi di becco.

Guarda i battelli passare

lisci lontani senza sussulti:

non danno fastidi, rumore

non fanno.

 

La vecchia signora

Distrattamente trascorre le ore

seduta a inseguire lontani pensieri,

di rado si alza, malvolentieri,

a guardare giù nella strada:

appena ieri, forse ricorda,

dalla stessa finestra si era sporta curiosa

giovane sposa venuta di Francia

negli anni quaranta.

Tra i rumori lì sotto si affretta

la gente - quattro anziani,

stranieri sicuramente,

ridono in piedi appoggiati a un muretto.

Sono lontani, lei non li sente,

ma le tornano in mente

come in una cartolina

le antiche panchine che c’erano prima,

le mamme con gonne a pieghe e carrozzine,

e dietro casa, segreto, il giardino.

Osserva, ormai si fa tardi,

la folla che non la sfiora,

che nella sera dirada lasciandola sola:

intorno svanisce ogni suono, ogni parola

fino al ritorno del nuovo giorno.

 

La casa delle anziane signorine

Persiana rotta fessura

lama di luce nella stanza scura

fende la polvere gli anni l’assenza.

Della vostra vita senza amorosi affanni

Elvezia Rita Vittoria

non resta qui dentro memoria.

Io solo ogni tanto a voi ripenso

brevi momenti

nessuno altrimenti.

 

 

 PASSATO PROSSIMO

 Sguardo perso

 Sguardo di donna un attimo scorto

 e subito perso, nascosto

 in un abbraccio acerbo e maldestro

 dentro un portone. Hai ragione

 non tornerà più tutto questo

 né tutto il resto: diversa

 è la nostra stagione.

 

 Fotografia 1951

 Davanti a una vecchia che lava

 in ginocchio i panni nel lago,

 leva gli occhi ubbidiente al richiamo

 e fissa un orizzonte vago. In mano

 tengo quello scatto lontano

 e quel bambino ignaro, me stesso,

 per caso diventato chi sono adesso.

 

 Colpo di vento - 4 novembre 1995

 Un colpo di vento oltre i vetri,

 mise inatteso a soqquadro le piante

 il ciclista si piegò sul manubrio

 e spinse più forte: fu quello l’istante

 in cui mio padre incontrò la morte.

 Quando il luogo si presta, ed il momento,

 colgo da allora in una raffica improvvisa

 in quel breve violento scompiglio

 il ricomporsi indifferente

 dell’universale equilibrio.         

 

 Vigneto a Pura

 Una casa un vigneto

 un uomo in grembiule: mio padre.

 Tempo passato - mi fermo stupito

 sotto lo stesso cielo

 a guardare.

 

 Stalla in rovina

 Faticose storte pietre tolte

 dalle frane ai tempi della fame

 per farne perfetti muri squadrati:

 nei prati erosi dai rovi

 brillano come nuovi. Abbaglio

 del sole di luglio.

 

 Neve lontana

 Neve lontana, pioggia

 sulle vetrate.

 Torna il passato

 a sferzate.

 

 

SOLO UNA NUBE CHE PASSA

Lugano, alla chiara fonte, 2017

 

Alla fine dell’inverno

Con sguardo lento abbraccia

valli montagne e le quattro cascine

disperse al confine del bosco.

Ascolta immobile nella scarsa neve:

portato dal vento lieve

gli giunge il canto dei diversi uccelli

che celebrano l’inverno in declino.

Lo osservano da vicino

cento invisibili occhi irrequieti,

insetti precoci rettili ricci

martore volpi e forse

il cervo il lupo la lince l’orso.

Mettesse qui radici, come un albero,

potrebbe scorgerli confondersi con loro,

ma si fa buio, s’allunga l’ombra intorno,

finisce il giorno.

 

 Stréga Màgn

 Portano ruvidi nomi le montagne

 che sbarrano taglienti l’orizzonte:

 Strega Màgn Moncrécc Torént Biasàgn.

 Le sovrastano a cerchi lenti

 gli altissimi rapaci dalle grandi ali:

 cavalcano correnti invisibili

 perlustrano le rocce nere, precipitano

 infallibili su incaute marmotte,

 artigliandole con gesti millimetrici.

 La sera quando ancora sulle cime

 brilla il sole ma in basso la valle si oscura

 i predatori terrestri predispongono

 astute strategie. Tragedie crudeli

 stanotte turberanno i boschi

 silenziosi di castagno: non per tutti

 la natura è benigna.

 

 Ombra improvvisa

 Ombra improvvisa

 sul fiume sui sassi.

 Esito, sospendo il passo,

 levo lo sguardo: solo

 una nube che passa.

 

 Vecchio castagno

 Niente ferisce

 la scorza scabra

 resa insensibile

 da molte stagioni

 troppo asciutte.

 

 Alberi davanti a casa

 Guardando volare nel vento

 senza rumore le foglie mi accorsi

 che nella boscaglia spoglia

 non si annidavano mostri:

 per scarsa voglia

 non ero stato attento non avevo

 capito in tempo.

 

 Giornata al mare

 Terrazza sul mare, mobile

 rumoreggiare di acque grigie e bianche

 esteso cielo lontane vele mutevole orizzonte.

 Quadro inconsueto per uno sguardo

 costretto altrimenti tra ripidi monti.

 

 La mia compagna dorme

 Come nel buio di una profonda

 tana invernale il respiro leggero

 di un piccolo animale ignaro…

 per ancora ascoltare

 tendo l’orecchio ma tra noi si insinua

 il primo chiaro il giorno.

 

  Avresti detto il sole

 Ricordo quella luce

 che incorniciava i suoi capelli biondi.

 Avresti detto il sole ma, ricordo,

 pioveva quel giorno.

 

 Una canzone degli anni ’60

 Non più udita chissà da quanto

 canta alla radio una voce dice

 Io che amo solo te. Molto felice

 negli anni sessanta non era

 neppure molto amato, allora

 quella stretta in gola

 perché

 

 Vecchia canzone

 Vecchia canzone vaga

 illusione leggero

 dolore struggente.

 Per tutte le strade non percorse

 per una vita che forse

 poteva essere e non è stata

 per una vita andata

 diversamente.

 

 In un’altra città

 Sembra familiare il centro

 di questa città io certo l’ho già

 percorso ma oggi tira vento

 nei suoi incroci perpendicolari

 tutti uguali mi son perso

 tra sconosciuti nuovi

 rumori segnali. Mi stanno

 guardando non so

 forse benevoli forse no

 fanno le stesse mie cose

 in luoghi uguali ai nostri

 ma non mi capiscono non

 sono come noi

 tutto in loro è diverso.

 

 Foglio quasi bianco

 Segni lasciati a mezzo

 frammenti di frasi

 parole, non proprio

 parole, quasi.

 

 La strada che porta in centro

 La strada che ogni giorno

 mi porta in centro è percorsa

 da file di ragazze penso

 studentesse le guardo

 una dietro l’altra inseguirsi

 senza sfiorarsi

 camminare senza alzare

 gli occhi dal cellulare

 guardo la loro

 sgraziata svestita

 sensualità mi chiedo come

 saranno fra qualche anno

 cosa faranno.

 

 Il ragazzo della Mini rossa

 Guida non guarda la strada non bada

 che più non piove, digita                                                   

 col pollice sinistro                                                                  

 mi ha lasciato sono triste.

 Dai cento amici connessi                                                      

 (molti mai visti) si aspetta, a torto,

 qualche conforto – una risposta almeno.  

 Brilla l’asfalto bagnato riflette                        

 un lontano arcobaleno.                    

 

 Happy hour

 Entra con aria sicura nel bar

 condiscendente accenna dall’alto

 un saluto ai presenti.

 Cercano le donne

 il suo sguardo azzurro.

 Raddrizzano la schiena

 gli uomini subito inquieti.

 Osserva indifferente

 la cameriera serba.

 

 Bar sport

 Pancia in fuori

 piedi in dentro

 gambe corte

 doppio mento

 orecchie al vento:

 avesse avuto

 un fisico atletico

 fosse stato

 meno brutto

 con le donne

 avrebbe fatto di tutto.

 

 Lamento rap

 Rumore di motori odore di benzina

 auto in fila ferme folla che cammina

 tristezza stanchezza monotonia

 non ce l’ho fatta me ne sono andato

 via

 Avevo voglia di partire senza niente

 di stare solo lontano dalla gente

 sono andato in alto tra la neve tra i sassi

 a sentire il mio respiro ascoltare i miei

 passi

 Dovrei tornare ma non so se lei mi attende

 se si è scocciata e ha levato le tende

 e mi ha mollato, e se n’è andata altrove

 adesso dove sarà dove sarà adesso

 dove

 

 Kamikaze

 Quali ombre quali demòni

 frequentano la notte oscura

 del ragazzo che domani

 lascerà casa con allacciata

 alla cintura

 una granata.

 

 Camion nel bosco

 Per non scomparire nel profondo

 buio, sperduto ai confini del mondo,

 si aggrappa l’autista all’esiguo imbuto

 di luce dei fari.

 Senza vederlo intuisce l’inquieto

 groviglio di piante, l’intrico

 nero di rami che sfreccia su ogni lato,

 nasconde il cielo stellato e la luna

 sopra la strada.

 Ascolta il monotono andare

 del motore, e come lampi bianchi

 lo trafiggono obliqui pensieri,

 le ore d’attesa ieri in dogana

 la casa ancora lontana

 il volto di una puttana le merci

 da scaricare il mattino

 sua nonna a Varsavia e lui bambino.

 Mentre procede prudente

 irrompe furiosa dalla boscaglia

 una grande bestia un cervo si scaglia

 sull’autocarro - che all’istante

 lo abbatte con un colpo sordo. Scende

 l’uomo da bordo contempla

 il corpo potente steso sull’asfalto

 le magnifiche inutili corna

 quando ad un tratto appare dall’ombra

 un altro cervo e dieci e ancora cento,

 lenti gli scorrono intorno se ne vanno

 indifferenti. In coda al branco,

 un maschio soltanto si ferma si volta

 verso il compagno morto, alza lo sguardo

 sull’uomo del camion. Lo stanno fissando

 quegli occhi selvaggi nella notte

 e si ricorderanno.

 

 Attraverso la porta

 Attraverso la porta

 vedo mia madre assopita sul divano

 una matita in mano

 sui ginocchi la coperta e il cruciverba

 abbandonato. Con gli occhi chiusi,

 nel suono esagerato del televisore

 inutilmente acceso, pare già partita

 per il grande viaggio. Il cuore

 mi accelera nel petto –

 ma lei solleva il capo, scuote

 i capelli così bianchi e con affetto

 mi guarda. Così ogni giorno

 per qualche lungo istante

 mia madre sperimenta il vuoto

 che la attende.

 

 Mia madre

 Ha l’aria lontana spesso si addormenta

 ma quando mi ascolta più attenta

 brillano gli occhi e la bocca sorride.

 Di tutti i suoi anni ritrova allora

 sparsi frammenti e sorprendenti

 ragionamenti. Batte il suo cuore ancora

 faticosamente.

 

 Se campo dieci anni

 Tra dieci anni raggiungo, se campo,

 l’età di mio padre quando

 se l’è portato via

 la malattia.

 Fra venti quella di mia madre

 che molto prima di morire

 soffriva di amnesie

 e di cardiopatie.

 Puoi capire

 davanti a queste prospettive

 che ogni spreco di tempo

 mi faccia innervosire.

 

 Sul giornale

 Quando leggo che è morto

 qualcuno del quarantotto

 controllo se i parenti

 ringraziano dolenti

 l’oncologo o il cardiologo.

 

 Flocky

 Le tiene proprio compagnia

 quel cane bianco

 dalla bocca storta.

 Spesso lo prende in braccio di slancio

 e lo stringe con forza.

 Ogni mattina allaccia al guinzaglio

 i sacchetti per le piccole cacche

 e con Flocky se ne va

 a scoprire la città.

 Alle gite della terza età

 hanno proibito

 gli animali - allora

 come quando il suo Pietro c’era ancora

 con Flocky dritto sul sedile dietro

 qualche volta si azzarda a pilotare

 la Panda e lo porta al mare

 (al ristorante il cameriere

 senza farsi vedere

 gli dà qualche boccone

 e anche il padrone

 della pensione vuole

 un gran bene ai cani).

 L’ha convocata il dottore

 domani per gli esami

 di attitudine alla guida,

 ha già fatto un incidente

 e di notte confonde le distanze:

 speriamo non le tolga

 la patente.

 

 Alla stazione

 Quella signora

 che ieri sera

 alla stazione

 mi ha chiamato per nome

 chi era? Con attenzione

 l’ho guardata

 non mi veniva

 in mente

 niente.

 E’ vero, le donne

 sono più attente

 non si dimenticano

 delle persone

 ma forse ha preso anche me

 quel male sornione

 e come uno scalpello

 mi scava dall’interno

 il cervello. Tornano

 strane disordinate

 memorie lontane

 di quando ero bambino

 di quando sapevo il latino

 di quella ragazza

 sotto il piumino -

 un istante un minuto un’ora

 che vivono ancora.

 Si è rovesciato il tempo

 veloce domani,

 ieri lento,

 pochi sogni, rare cose

 a far battere il cuore.

 

 Non ascoltare

 Non ascoltare

 i profeti millenari.

 Vogliono rendere

 quadrata la terra.

 

 Il testimone

 Sull’uomo in grigio sulla mano tesa

 che porge la Torre di Guardia

 nessuno sguardo si posa, gira al largo

 la gente, entra esce dalle botteghe,

 scivola via senza vedere niente.

 Lui si nasconde in un angolo d’ombra

 come per non farsi notare:

 appoggia gli occhi indifferente

 su un punto qualunque di là della strada.

 Sarebbe sorpreso se un passante

 gli facesse domande: quale

 risposta potrebbe offrire, quale luce?

 E io mi chiedo, quale distante nume

 ha preso a testimone proprio lui?

 

 Camera d’albergo

 Sospeso nel vuoto

 al piano trenta.

 Gente luci fuori

 silenzio dentro.

 Acquario uomo-pesce

 solitario.

 

 Lungo il fiume

 Quattro passi lungo il fiume

 incrocio persone

 di cui non ricordo il nome

 profili in controluce nel sole

 scorre l’acqua senza rumore

 azzurro sentimento

 di smarrimento.

 

 Treni in partenza

 Da qualche tempo sogna

 stazioni straniere valigie smarrite

 treni che fra un istante saranno partiti.

 Sconosciuti viaggiatori diretti lontano

 lo invitano a salire con insistenti

 cenni di mano - ma non ha il biglietto

 gli mancano importanti documenti

 deve trovarli tornare indietro

 affrontare la folla ostile ripercorrere

 i lunghi corridoi e le grandi sale e le scale.

 Tempo scaduto, binario deserto

 doveva prenderlo quel treno

 l’ha perso.

 

 Pian Scairolo 

 Davanti alla finestra appena oltre il torrente

 caricano gli autocarri mucchi

 di sabbia ghiaia sassi

 per costruire altrove

 strade case

 nuove

             Le rive di questo esiguo ruscello

 piuttosto misero e sporco sono percorse

 da giovani donne a passo di corsa

 sfiorano atletiche il lato nascosto

 di centri commerciali

 magazzini

 officine

             Brutto posto ma di mattina presto

 con uno scarso sole e un po’ di brina

 acquista una sua poesia una sua

 dimessa segretezza

 da retrobottega

             D’estate poi quando d’improvviso

 scoppiano quei temporali quasi tropicali 

 lo Scairolo si gonfia si trasforma

 in un nostrano

 Mississippi

             E sommerge strade prati: poca

 roba però poche ore di ribellione poi 

 rientra nei suoi argini come

 se niente fosse

 accaduto.

 

 In bicicletta

 Pedalando sull’asfalto osservo i coperchi

 di ghisa dei tombini, decorati in rilievo

 con croci svizzere e nomi di fonderie

 da casa al centro ne ho contati più di cento

 ognuno ha scosso con forza

 la mia bicicletta da corsa.

             Nascoste dalla superficie stradale

 in modo apparentemente casuale

 sono tra loro collegati, questi varchi,

 da infiniti cunicoli fitti di tubi fili fibre

 che trasportano il fluire denso di veloci

 elettroni e lenti disgustosi liquami.

             Molto più sotto profonde distanti

 dagli astri si annidano negli interstizi terrestri

 ostili divinità ctonie pronte a coglierci disattenti

 nelle brevi pause del nostro continuo pedalare

 per trascinarci giù nelle loro regge 

 fangose e oscure.

 

 Le solite cose

 Cade la pioggia

 ritorna il sole

                   le solite cose

 polvere ombre

 remoti miraggi

                   fuggente nulla

 faticose parole

 fuori rumore

                   dentro silenzio.

 

 Scivola un’acqua liscia

 Scivola un’acqua liscia

 sopra la pietra grigia con onde sottili

 silenziosa produce

 spirali ventagli di luce da cui niente

 traspare della tenacia lenta

 che quella roccia intaglia

 sui tempi dei pianeti e della luna.

 Quando non resterà qui traccia alcuna

 di te, di me, delle nostre

 umane fortune, delle nostre

 vite che credevamo infinite

 ancora quest’acqua fine

 faticherà dentro il suo corso antico

 appena un poco più vicina

 al centro della terra.